Un patto Federativo per un Paese in crisi


Il nostro Paese ha vissuto e sta vivendo una crisi profonda, determinata da tanti elementi convergenti, nazionali ed internazionali, economici e finanziari, di competitività del sistema, di riforme inattuate e che sembrano inattuabili, di conflittualità esasperate ma scarsamente alternative, di ridotto senso dello Stato e dello Stato di diritto, di conflitti corporativi lesivi della collaborazione istituzionale, di un sempre più ridotto senso morale, di utilizzo sfrenato della demagogia, del populismo, dell’illusoria comunicazione e dello spettacolo, della crescente divaricazione tra grandi ed esibite ricchezze e dolorose e spesso silenziose povertà.
Si tratta di una crisi morale e culturale che purtroppo la politica ha rappresentato ed esaspera con poteri senza controllo, con scorciatoie giuridiche, con un sempre più evidente abbandono dell'interesse collettivo e - peggio - con la menzogna con noi stessi, sullo stato del nostro essere, illustrandoci in modo diverso da ciò che siamo, nascondendo a noi stessi, in una dannosa illusione, ciò che realmente siamo. Sembra una volontà di illudere e di illuderci, per sfuggire alla responsabilità dei nostri doveri di classe dirigente, per nascondere le miserie dei parvenù del potere, senza una cultura politica e senza esperienza, che devono giustificare le ragioni della loro posizione.

Una democrazia malata
Ci troviamo di fronte alla profonda crisi della democrazia, ora anche dipendente dai vincoli internazionali del debito pubblico che ne condiziona la libertà di azione, e inoltre del suo modo di essere, di esprimersi, al permanere delle sue forme ma al cedimento della sua sostanza. La falsità delle forme rende meno evidente il percorso ma, come per le malattie non chiaramente diagnosticate, il disagio, il malessere, la debolezza si sentono e, quasi inconsapevolmente, si cercano i rimedi.
La democrazia ha perso, come nell'organismo malato, le sue difese, i suoi anticorpi, uccisi dalle parole dell’illusione, dalla distrazione dello spettacolo, da cattivi maestri e ancor peggiori costumi. Si pone innanzitutto al cittadino il mito illusorio della difesa della libertà che, nelle sue espressioni più evidenti, pur esiste. I limiti della stessa in realtà stanno nel suo difficile esercizio interno tramite la effettiva pratica democratica. Infatti la libertà, a parte la sua parvenza nominalistica, è limitata per un popolo, che non può esercitare se non in modo ridotto i propri diritti democratici, al quale sono sottratti la scelta ed il legame con i propri rappresentanti politici, con i programmi di governo, con le generali iniziative di legge, essendo esso stesso ubriacato dal potere televisivo, con le esigenze delle comunità locali e le loro espressioni democratiche. Per la rinascita sociale del Paese La crisi di classe dirigente, che è stata selezionata con criteri di familismo, aziendalismo, disponibilità e condiscendenze personali di vario tipo, è il frutto di una nuova forma di oligarchia, monarchica al proprio interno, presidenziale all'esterno e quindi espressione del forte limite di democrazia.

La fine delle rigide ideologie non ha tolto il valore delle idee e degli ideali che, con molti limiti, appartengono a tutti noi, alla cultura del mondo occidentale, ai suoi orientamenti politici, sociali, religiosi, umani e di spiritualità comunque espressa.
Siamo favorevoli ad un Paese di impostazione liberaldemocratica e che quindi esprime il suo governo su quelle basi culturali e giuridiche, dove la legge democraticamente espressa sia la comune volontà del popolo tutto, cui il popolo stesso deve rispetto ed obbedienza, senza alcuna distinzione. La vera democrazia non avrebbe bisogno di aggettivi, essendo di per sé completa della sua accezione di governo del popolo.
Ma può essere utile, dati i passaggi, le mistificazioni, gli usi impropri, riassumere in essa, nella sua attualità, la sintesi delle conquiste del passato, il perseguimento della libertà singolare e collettiva dei cittadini, la loro tutela rispetto a ogni forma di statalismo economico e politico, la cultura dell’economia di mercato, senza mitizzarla ed anzi con regole che la rendano più umana, per renderla idonea al perseguimento della giustizia sociale, della solidarietà, del riequilibrio delle differenze, del rispetto dell’ambiente e della persona, di tutela della famiglia pur dentro la struttura e le norme di uno Stato laico, che ha alla base l’eguaglianza dei diritti di tutti i suoi cittadini
Per questo nel nostro Paese bisogna ricostruire la democrazia, una democrazia moderna, adatta ai tempi, alle tecnologie, alla esigenza di celerità delle risposte, a principi di delega controllabili e soggetti alla legge.
Occorre una democrazia capace di confrontarsi con la coesistenza di locale e globale, di comunicazione e decisione, di efficienza e rispetto del cittadino; una democrazia capace di non dimenticare l'esempio ateniese di Platone e Aristotele, le guerre per la laicità degli Stati, la magna carta inglese, le rivoluzioni francese e americana ed i disastri delle dittature dello sciagurato secolo scorso. Non dimenticando che tali dittature nacquero con un voto popolare, dalla crisi della democrazie malate che le precedettero.
Per aiutare il Paese bisogna ricostruire la democrazia come strumento fondamentale di una rinascita sociale, culturale, intellettuale, di dirigenza e quindi di conseguente crescita economica e politica. A questa ricostruzione, come fu per la costituzione italiana, bisogna chiamare tutte le forze del Paese, al servizio di tutti, senza preclusioni ideologiche, in spirito di servizio all'obiettivo comune.

Sovranità e territorio
Uno Stato non può esistere senza un popolo in un territorio ed una sovranità, ma la sovranità deve essere realmente e concretamente espressa dal popolo di quel territorio che ne diviene al tempo stesso creatore delle norme e soggetto alle stesse.
Il territorio definisce, in tutta la storia del Paese, la base della democrazia stessa, è il locus civitatis dove nasce, sui problemi reali e vicini alla gente, la classe dirigente amministrativa e politica, la vera rappresentanza della volontà popolare. La democrazia deve essere tutto questo, pur sapendo bene quali e quanti siano i limiti e gli ostacoli determinati dalla natura umana, dagli egoismi, dai conflitti e dalle rivalità che la vita esprime.
Per dare vitalità al nostro stanco sistema politico si deve partire dalla nuova e diversa selezione della classe dirigente che nasce e si sviluppa localmente, sui problemi reali, piccoli e grandi di ogni collettività. Occorre un sistema elettorale dove i cittadini abbiano effettivo potere, dove possano riconoscersi nel candidato e nell’eletto, che deve rappresentare il riferimento del territorio di cui il politico eletto deve essere espressione, la più identificata possibile. Il legame col territorio e la sua gente non esclude una forte riduzione del numero dei parlamentari e una loro selezione qualitativa. Solo in questo modo i partiti saranno costretti alla formazione di una classe dirigente capace di confronto autonomo di fronte ai cittadini con candidati responsabili di fronte al popolo e non servili verso i potenti che ne determinino la candidatura.

I costi della politica
Bisogna ridurre i costi immensi, diretti e indiretti della politica, eliminare inutili enti e pleonastiche istituzioni, retribuire il servizio politico in modo tale da non renderlo conveniente rispetto alla propria attività e non favorire il professionismo politico, tanto criticato quanto praticato.
Un finanziamento pubblico dei partiti, fortemente ridotto per non dipendere da interessati finanziamenti privati, rimane un utile strumento solo se si imponga la gestione corretta delle risorse, la loro distribuzione reale sul territorio, una gestione effettivamente controllabile e sottoposta alla Corte dei Conti.
La spesa pubblica dello Stato per la gestione istituzionale deve essere riposta sotto controllo ed applicato al massimo il principio di sussidiarietà, ma senza farlo diventare una nuova forma di assistenzialismo e finanziamenti senza controllo.
Una buona democrazia deve avere regole ferme ed esprimersi al meglio attraverso la lotta a tutte le concentrazioni di potere, attraverso un rigoroso sistema di incompatibilità tra cariche e funzioni. Nessuno deve considerarsi indispensabile ed il Paese deve essere in grado di esprimere gli uomini e le donne di cui ha bisogno per governarsi. Decentramento e responsabilità La democrazia si esprime in modo più effettivo e controllabile a livello locale e infatti i veri democratici sono sempre stati sostenitori del potere decentrato, espressione delle autonomie locali, che devono peraltro rispondere ai cittadini delle proprie scelte anche con la responsabilità diretta e la leva fiscale locale, per responsabilizzare gli elettori nella spesa e nella entrata, per quanto attiene il proprio territorio e le proprie competenze.
Deve essere forte e possibile il controllo della spesa pubblica a tutti i livelli, e proporzionata la pressione fiscale che non deve diventare un gravame insostenibile che stimola l'evasione. Il controllo della macchina di tutti centri di spesa, a tutti i livelli, va esercitato politicamente dalle opposizioni, giuridicamente dalla la Corte dei conti ed inoltre la conoscenza dei dati deve essere consentita anche ai cittadini, alle loro organizzazioni rappresentative, allargando alla società civile la partecipazione politica e di controllo.
La democrazia vive nel confronto, contrasto, controllo tra le legittime rappresentanze. Necessita di uno statuto delle opposizioni che sono il sale del sistema. Lo statuto deve garantire alle opposizioni l'accesso, l'iniziativa, la velocità nell'azione di controllo, ma anche prevedere regole precise contro gli sterili ostruzionismi e gli atti che possano impedire il legittimo potere di governo.

Democrazia e stato di diritto
Il governo, in un sistema democratico, deve essere efficiente e sollecito, avere definiti poteri propri di cui risponde. Il Parlamento, nella sua centralità democratica, deve essere espressione reale ed efficace e non, come ora, fittizia e puramente teorica dei cittadini. deve poter effettivamente controllare l'azione di governo e si dota di strumenti effettivi per tale controllo non limitandosi ad inutili e spesso inascoltate interrogazioni o altri atti parlamentari totalmente inefficaci.
I parlamentari, significativamente ridotti nel numero e con funzioni differenziate, (il Senato delle autonomie locali), devono disporre di maggiori strumenti di lavoro e collaboratori, utilizzando funzionari già pagati dallo Stato che spesso bivaccano nella immense quanto inutili strutture burocratiche romane.
La democrazia non è anarchia ne irresponsabilità, occorre dunque ripensare al controllo amministrativo preventivo o immediatamente successivo sugli atti della pubblica amministrazione.

I politici devono rispondere alla collettività per le loro scelte politiche, attraverso il voto, in condizioni di effettivo potere degli elettori. Devono rispondere invece dei loro comportamenti operativi davanti ad una più efficiente giustizia amministrativa e in altri casi, al giudice ordinario civile o penale. Senza complessi persecutori, senza limiti alle indagini, ma nel generale rispetto della legge che, indipendentemente dal consenso elettorale, è sovrana in uno Stato di diritto. Magistratura e riforma della giustizia La magistratura, in un sistema democratico, è soggetta solo alla legge e deve rappresentare, per il cittadino onesto, un vero strumento di garanzia. Il singolo magistrato, come il politico, il burocrate, l’industriale, il professionista è soggetto ai limiti ed agli errori di tutti e deve rispondere effettivamente e personalmente delle sue inadempienze, comportamenti scorretti e quant'altro. Ma come non ci deve essere una casta politica così nemmeno altre caste che rispondono solo a se stesse.
Occorre una profonda riforma della sistema di giustizia del nostro Paese, l'eliminazione di molti privilegi, il distacco da ogni attività diversa da quella giurisdizionale, la lontananza dai luoghi di governo ed incarichi aggiuntivi o sostitutivi. I magistrati non dovrebbero fare politica e candidarsi se non dopo alcuni anni dopo la fine dell’attività, proprio per il ruolo così importante che hanno scelto di esercitare, applicando, con coerenza, la stessa incompatibilità di rapporti che si deve avere in funzione particolarmente delicate. Così in una seria democrazia, essi non possono essere sottoposti a limiti d'indagine ma anche rifuggire l'accusa di ambire in modo improprio al potere politico.

Democrazia e giustizia sociale
La democrazia non può essere solo politica. Non può esserci eguaglianza politica in un quadro di profonde differenze economiche e sociali che portano ad un diverso rapporto con la collettività e ad un diverso peso anche elettorale.
Una democrazia pacifica, tollerante, effettivamente rappresentativa vive meglio dove esiste un sostanziale sistema di benessere diffuso, dove il lavoro nelle sue diverse espressioni è esercitato con una dignità reale, dentro o fuori dalla fabbrica. Una buona democrazia è autrice e prodotto di questo equilibrio. Il benessere individuale e familiare è alla base di quello sociale, ma il benessere generale esclude le ostentazioni di ricchezza, non vuole beneficenza ma stabilità di diritti, non ha invidie ma non ama le supponenze, guarda con sospetto a politici che diventano ricchi o troppo ricchi, o a ricchi le cui attività sono troppo legate alla pubblica amministrazione ed agli interventi dello Stato. Né ama un sistema di comunicazione e di stampa espressione di ben altri interessi economici e finanziari. Abbiamo avuto peraltro uomini di industria, uno per tutti Adriano Olivetti, che hanno dato molto alla collettività e non ne mancano altri, pur se assai rari.

Per una nuova Europa
Anche la costruzione dell’Europa si è fermata alla tecnocrazie, ad una sorta di nuovi nazionalismi, agli interessi dei più forti. Questo tipo di Europa non è quella dei padri fondatori e rappresenta più un vincolo che la fonte del comune sviluppo. Bisogna riprendere seriamente l’idea di Europa come Stato federale, con parità di doveri e di diritti, con una moneta comune anche nelle garanzie e nella comune base economica, finanziaria e valutaria, senza predomini dell’uno Stato europeo sull’altro. Una Europa unita e forte, per ora solo poco più di un’ipotesi, che garantirà dignità e forza ad ognuno ed a tutti nel confronto con le grandi potenze del mondo e contro le organizzazioni finanziarie e speculative che mettono a rischio la economia dei singoli Stati.
Governare la globalizzazione
La globalizzazione va affrontata con la forza delle economie di vaste aree produttive di tipo continentale non dalla frammentazione economica e politica dei piccoli stati.
La globalizzazione non può essere affrontata con la concorrenza al ribasso, con l’adeguamento del nostro costo del lavoro a quello dei paesi sottosviluppati o alle loro condizioni sociali, di vita, segnali che sono anch’essi sintomi di democrazie incomplete o inesistenti.
Si deve dunque riflettere sulla ripresa economica del nostro paese in tutto il contesto europeo.
La qualità dei prodotti deve essere elemento fondamentale unitamente alla loro tutela giuridica e sostanziale; massimo ha da essere l’impegno nella ricerca scientifica, tecnologica, e nelle invenzioni che presuppongono una classe di ricercatori, e prima ancora di studenti di sempre maggiore qualità, distinguendo le scuole di formazione da quelle di ricerca e di forte approfondimento che possono concorrere con quelle dei paesi a più alto sviluppo, ridando alle Università il prestigio e la qualità spesso offuscati anche nel corpo docente, e resi peggiori dalla riforma Gelmini e dalla sua pletora di università “televisive”.

Italia: cosa fare?
Questo nostro Paese, dopo tante parole e promesse, sembra accorgersi che ha bisogno di una vera democrazia, da qualunque parte provenga. È deluso a destra e a sinistra e il numero degli astenuti dal voto deve fare riflettere, visto che il momento elettorale dovrebbe essere proprio quello della sovranità del cittadino.
In questa stagione politica, che avrebbe dovuto essere chiaramente ed efficientemente bipolare, aperta al confronto e alla alternanza, al reciproco riconoscimento, avviene un processo inverso, confuso e frazionato.
L’esperienza dei vari partiti nell’ultimo ventennio, ne ha dimostrato drammaticamente l’inefficacia, la lotta per il potere e per il denaro, la perdita di identità ideali e di funzioni politiche. Ciò nonostante i partiti, i movimenti, le organizzazioni sociali sono importanti per il governo del Paese. Occorrono diversi criteri di selezione, espressione della stima locale. Dietro alle troppe parole sul federalismo lo Stato è stato fortemente centralizzato in tutte le scelte politiche a cominciare dai sistemi elettorali.
L’immensa delusione per i cittadini, il loro rifiuto della situazione, la disistima per quasi tutti i partiti che hanno avuto un ruolo nella sedicente seconda Repubblica, il ripetersi del richiamo della demagogie pur se in altre forme rispetto alla precedente, l’astensionismo di così vaste parti degli elettori, il senso di insicurezza e di sfiducia della gente, ci spingono a cercare, pur nella immensa difficoltà della situazione, qualcosa di diverso, che non sia quello di raccogliere i resti di altri partiti e di altre esperienze già vissute e troppo spesso deludenti.
Ecco perché si propone una iniziativa politica nella quale il dibattito, la verifica, il confronto tra generazioni ed esperienze, tra le regole della politica e le esigenze della società, tra le ragioni del pensiero e quelle conseguenti dell'azione, la strategia per le prospettive del Paese ed i comportamenti gestionali, si confrontino con le regole di una democrazia realmente partecipata e vissuta, non presa in ostaggio dalle false regole dell'efficientismo da un lato e del massimalismo demagogico dall’altro. Il Paese ha risorse utili per migliorare la vita della gente, governarne lo sviluppo, aiutare le parti deboli della popolazione senza assistenzialismi strumentali e clientelari, per avere in sostanza uno Stato forte in quanto dotato di quella credibilità e prestigio politico, culturale, morale, di cui oggi si sente la mancanza.
La gente deve ragionare più che sognare, essere dotata di consapevolezza più che di illusioni, da qualunque parte esse provengano. Proponiamo un obbiettivo di impegno che parta dai popoli dei territori, che vuole essere non temporaneo e contingente ma di valore permanente per la vita del Paese.

Popoli Sovrani
Il Movimento politico dei Popoli Sovrani d’Europa vuole guardare lontano, non demonizza il passato e cerca di comprendere il presente, nei suoi limiti, errori, insufficienze, ma vuole soprattutto costruire un futuro, non in modo solitario ma con una decisa affermazione delle proprie idee e degli impegni che prende con i suoi aderenti, con la loro fiducia e le loro speranze.
Dobbiamo guardare, senza illusioni ma senza preclusioni, alla società e al conseguente impegno della politica di rappresentarla e guidarla, sapendone guadagnare la fiducia ed il consenso, ma soprattutto la compartecipazione; che si rivolge ai cittadini, ne chiede il contributo d’impegno, di idee, di militanza, cercando di ritrovare in ognuno quel tanto di energia, capacità di sacrificio, volontà di impegno, amore per il proprio Paese, che l'incultura, il più o meno mascherato provincialismo, l’improduttivo e diseducante assistenzialismo hanno ormai da molti anni mortificato. Come tutti i tentativi sinceri e generosi che partono dalla base e dal territorio non è di breve e facile conduzione: ma può dare la speranza di essere utili, assieme ad altri, al nostro Paese per aiutarlo a cambiare.



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