Da forza antisistema a caposaldo del regime centralista. Se volessimo sintetizzare in una semplice battuta, l’evoluzione ultraquarantennale della Lega Nord questa è quella che – molto probabilmente – meglio fotograferebbe ciò che oggi è diventato il Carroccio. Partito con le stimmate del movimento in grado di terrorizzare e dare un profondo scossone al sistema, incarnando la speranza di un reale cambiamento, con il tempo abbiamo assistito a un progressivo ridimensionamento degli obiettivi sino al totale rinnegamento delle idee per le quali, il suo leader Umberto Bossi si era battuto.
Un primo sentore si era avuto quando fra il Senatur e l’ideologo Gianfranco Miglio volarono gli stracci perché Bossi temeva che l’autorità morale del professore che aveva teorizzato la nascita delle Macroregioni, e l’adozione di un modello di federalismo molto vicino a quello della Svizzera, potesse togliergli consensi dall’interno. Così non andò, e come tutti ben sappiamo ci fu l’abbraccio mortifero con Berlusconi che inglobò la Lega nella sua coalizione, con la quale si presentò e vinse le elezioni del 1994. Lo strappo avvenuto alla fine di quell’anno, aveva comunque mantenuta alta la percezione di un partito in grado di poter davvero cambiare un’organizzazione dello Stato, divenuta ormai decrepita e non più al passo con i tempi.
In quegli anni, i rapporti fra i nostri movimenti sono andati incrementandosi come provano i tanti momenti di incontro e le convergenze che ci avevano portato ad un’alleanza programmatica, nelle tornate elettorali del 2001 (politiche) e del 2014 (europee). Il tratto però distintivo, è stato il tradimento che è stato perpetrato nei nostri confronti da parte dell’establishment leghista, che ormai è diventato un habitué dei palazzi romani. La parola d’ordine era quello di controllare e convogliare in un alveo facilmente gestibile, il nostro progetto di cambiamento in chiave federale, che abbiamo sempre coerentemente portato avanti, in oltre 30 anni di vita politica.
Oggi cos’è diventata la Lega Nord? Innanzitutto, è sparita la parola “Nord” dal simbolo che raffigura Alberto da Giussano. Al suo posto, troviamo “Salvini”, e questo la dice davvero lunga sulla fine pietosa che ha fatto. Un partito che – non ci stancheremo mai di ripeterlo – è una patetica e mal riuscita copia di quello della fruttarola della Garbatella, che (s)governa da oltre due anni questo malandato paese. Il suo volersi apparentemente smarcare dalle idee dei fratelli (ma anche cognati, zii, cugini, nipoti, suoceri e chi più ne ha, più ne metta) d’itaglia, è uno squallido tentativo di raccattare voti qua e là, ben sapendo che la credibilità è un optional.
All’interno, permangono ancora tanti leghisti della prima ora che credono in un cambiamento ormai divenuto utopistico. E per provare a recuperarli, ecco che nascono operazioni ridicole e patetiche come quella di “GLande Nord” di Bernardelli o quella dell’ex ministro Castelli che vorrebbe parlare di concetti importanti come l’autonomia senza però averne i requisiti (a proposito, ma il referendum del 22 ottobre 2017 che fine ha fatto?), che sono solo degli specchietti per le allodole, utili solo per imbonire i più ingenui.
Come lo stesso Bossi ebbe a definire, potremmo dire che stiamo assistendo a un qualcosa che rassomiglia a un “patto per la crostata” o “per la frittata”, come preferite. Qua, al più, potremmo parlare di un “patto per la polenta scaduta e pezzottata”, visto che l’attuale Lega ha ormai messo nel cassetto il federalismo.
A nostro modesto avviso sbagliando, perché i tempi sono propizi per dare una potente spallata a questo regime. Il non voto, come abbiamo a più riprese evidenziato, è il primo partito per distacco: basta guardare le percentuali di astenuti, schede bianche e nulle per rendersi conto che la maggioranza silenziosa del corpo elettorale, ne ha le scatole davvero piene di questo regime.
Un regime che decide senza tener conto dei desideri e delle esigenze dei cittadini, e che anzi ne disattende le aspettative perché deve soddisfare i diktat delle lobby e dei potentati di stanza oltreoceano. Anche la Lega (non più Nord, ma di Salvini) fa parte a pieno titolo di un sistema che non ha esitato, negli ultimi anni, a votare sempre a favore delle sanzioni contro la Russia, fregandosene del fatto che molte imprese hanno allacciato importanti rapporti strategici e di affari con il gigante euroasiatico. E che oggi si appresta a continuare a dare il proprio contributo in termini di soldi e armi al regime nazista di Kiev, in totale dispregio dell’articolo 11 della Costituzione che eppure sancisce “il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Lo smarcamento del fannullone padano dalle posizioni più estreme su questo particolare tema è soltanto di facciata, dal momento che il caro Salvini dovrebbe spiegarci perché in questi anni ha votato sempre a favore dell’Ucraina, arrivando a rinnegare sé stesso visto e considerato che in tempi non sospetti aveva manifestato le sue simpatie per il presidente Putin.
Anche su queste cose, la Lega ha fatto tutto e il contrario di tutto, arrivando finanche a smentire sé stessa per mantenere il culo incollato su quella cadrega romana, che era l’oggetto degli strali bossiani di fine anni ’80 – inizio anni ’90 quando rappresentava il fatto nuovo nello scenario politico, che si era venuto a creare dopo il crollo del comunismo e la fine della Guerra Fredda.
I tempi sono maturi per un vero cambiamento, perché per quel che ci concerne il discorso sul federalismo è sempre stato vivo, nonostante i tentativi squallidi dei vertici della lega salviniana di portare su un binario morto (soprattutto al Nord) la discussione. Al settentrione, ormai non ci sono più movimenti in grado di infiammare i cuori di quegli elettori che ancora ritengono possibile un altro modello di “Italia” basato sulla valorizzazione e l’esaltazione delle differenze territoriali. Non più da considerare come un ostacolo, quanto un’opportunità di sviluppo e di reciproco benessere. La Lega Nord ormai ha assolto il suo ruolo, che è stato quello di convogliare il malessere dell’area più produttiva del paese, in un contenitore che in un primo momento sembrava davvero poter far saltare il banco. Salvo poi diventarne uno di meri controllo e limitazione, per chiunque avesse avuto in mente di mettere in discussione l’assetto centralista e statalista itagliano.
Il progetto “Popoli Sovrani d’Europa”, è l’unico che attualmente può essere deputato a parlare di temi come la sovranità e la libertà dei popoli, il federalismo e la totale avversione a schemi che non siano multipolari. L’uscita da questa Unione Europea (ormai assurta al rango di super mostro burocratico che ha ripudiato la stessa volontà federale dei suoi padri fondatori), l’abolizione dell’Euro e di tutte le misure che danneggiano imprese e cittadini, sono i presupposti da cui partire per una piattaforma programmatica che possa coinvolgere tutti quei movimenti (soprattutto quelli che si trovano al Nord e che sono stati sedotti e abbandonati dalla Lega) che intendono farsi portavoce di un reale cambiamento, per costruire un modello di Europa e d’Italia più equi, rappresentativi, liberi, democratici e meno guerrafondai.
Francesco Montanino
Commenti
Posta un commento