Nel silenzio generale ed assordante dei media di regime, stanno letteralmente passando in cavalleria i cinque quesiti referendari sui quali saremo chiamati ad esprimerci i prossimi 8 e 9 giugno. In concomitanza, in alcuni comuni, con lo svolgimento delle amministrative, in modo da farli passare nella totale indifferenza. Promossi da CGIL e movimenti civici, i quesiti posti in essere sono anche delicati e molto importanti…..eppure giornali, tv, radio e finanche i social poco o scarso rilievo ne hanno, sin qui, dato.
Il referendum, giova sempre ricordarlo, rappresenta l’ultimo baluardo di democrazia diretta che ancora ci è rimasto, anche se il regime sta facendo davvero di tutto per denigrarlo, e farlo apparire del tutto inutile e superfluo. La scarsa importanza che viene fatta percepire ha il solo scopo di cancellarlo, progressivamente, del tutto, e di prendere decisioni che – come ben sappiamo – spesso e volentieri, sono ben lontane dal rappresentare la reale volontà dei cittadini.
Un ulteriore segnale di scarsa democraticità posto in essere da questa becera dittatura partitocratica che si arrocca - in maniera sempre più dispotica, arrogante e supponente – su posizioni indegne di un paese che possa davvero considerarsi civile. Nella vicina e (quella sì!) democratica Svizzera, i cittadini sono spesso e volentieri chiamati ad esprimersi sui più disparati temi, perché hanno ancora voce in capitolo. L’esatto opposto, invece, accade alle nostre latitudini, dove una schifosa accozzaglia di burocrati, lavativi, fannulloni e parassiti, crede di poter decidere sempre e comunque non certo per curare i nostri interessi, anzi….
Tornando ai quesiti referendari dell’ormai imminente mese di giugno, come accennato, quattro di essi riguardano il tema del lavoro, mentre l’ultimo (che forse è anche il più importante di tutti) ha ad oggetto quello scottante dell’immigrazione.
Partendo da quelli promossi dalla CGIL, analizzandone in prima battuta il contenuto, ci riteniamo sostanzialmente d’accordo nell’attribuire maggiori tutele ai lavoratori. Sia che si tratti di quelli licenziati senza giusta causa (con il ripristino dello strumento delle tutele reali, abolito con il Jobs Act fortemente voluto da Renzi e l’abrogazione del limite massimo dell’indennizzo economico, nelle imprese con meno di 15 dipendenti restituendo a un Giudice il potere di stabilirlo), oltre che dell’abrogazione di quelle norme che limitano la responsabilità delle aziende in materia di prevenzione degli infortuni, allo scopo di incrementare le tutele per tutti i lavoratori, e aumentare le misure preventive e le responsabilità dei datori di lavoro.
Sull’abolizione dei contratti a termine, invece, abbiamo una posizione meno netta perché se è vero che il contratto a tempo determinato può essere utile per un’azienda affinché possa valutare le competenze e l’attitudine alla mansione ricoperta da un lavoratore, al tempo stesso però il ricorso a tale strumento non deve essere abusato. Riteniamo infatti possa andar bene, ma a patto che lo si inserisca nell’ambito di un percorso lavorativo che porti poi all’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore.
Sull’ultimo punto, riguardante infine la riduzione del limite temporale da 10 a 5 anni per attribuire la cittadinanza italiana a i cittadini extracomunitari, diciamo fermamente NO. Riteniamo anzi fin troppo permissive le attuali norme che permettono ai cittadini provenienti dai paesi extra UE, di poter permanere e chiedere la cittadinanza, in questo malandato paese.
Una normalissima regola di buonsenso e civiltà, innanzitutto, prevederebbe l’introduzione del meccanismo delle quote, ovvero che in Italia entra solo chi ha una reale prospettiva lavorativa, e dunque di primo inserimento nel nostro tessuto sociale e civile. E non certo, il famigerato e fallimentare meccanismo delle porte aperte in maniera scriteriata e indefessa che ci ha portato a dover accogliere, anche e soprattutto chi non ha un lavoro, una fissa dimora o un reddito, con i quali poter dimostrare che sta effettivamente sopravvivendo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: perché – oltre alla feccia umana di casa nostra che ancora fatichiamo a smaltire – se ne aggiunge anche altra proveniente dai più reconditi angoli del pianeta.
Oltre al meccanismo delle quote, chi entra in questo paese deve conoscere bene la nostra lingua, le nostre tradizioni, la nostra cultura, i nostri territori e anche e soprattutto le nostre leggi. La vera integrazione, a nostro avviso, passa anche per questi concetti chiari e pragmatici, perché – vale sempre la pena di ricordarlo – costoro sono ospiti. E in quanto tali, non essendo in casa loro, hanno il dovere di comportarsi in maniera congrua e adeguata. Chi non rispetta, questi pochi ma semplici principi, va rimandato nel luogo da cui è venuto e senza nemmeno troppi complimenti o salamelecchi di circostanza.
I tempi per l’attribuzione della cittadinanza, piuttosto, andrebbero allungati ad almeno 15-20 anni, con il superamento anche di un apposito esame, che testi la perfetta conoscenza - del richiedente la cittadinanza - sulle materie sopra citate. Riteniamo, perciò, del tutto perniciosa la richiesta di abbassare da 10 a 5, gli anni necessari per poter richiedere la cittadinanza. Evidentemente proposta da chi, sul business dell’immigrazione incontrollata, vuole continuare a lucrare succulenti profitti.
Ricordiamo che i seggi saranno aperti dalle 7 alle 23 di domenica 8 giugno e dalle 7 alle 15 di lunedì 9 giugno; avranno la facoltà di votare nel comune di domicilio temporaneo – così com’è già accaduto per le elezioni europee dello scorso anno – anche gli studenti fuori sede. Invece gli elettori italiani residenti all’estero, riceveranno un plico elettorale per poter votare per corrispondenza a patto che siano iscritti all’AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero).
Francesco Montanino
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