LA NOSTRA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E’ DAVVERO IN PERICOLO?

Quanto vale la vita di un giornalista scomodo? Quanto costa dire la verità ed andare contro il pensiero unico dominante, dove se non ti allinei diventi un pericolo pubblico per il potere precostituito? Sigfrido Ranucci, Jacopo Cecconi e Alessandro Antinelli sono stati attaccati solo perché stanno svolgendo il proprio lavoro con scrupolo e professionalità. Il primo, per le inchieste scottanti che porta avanti da diversi anni e che lo espongono a minacce di ogni tipo. Gli altri due, per non essersi allineati alla narrazione pro-Israele e al genocidio (certificato dall’ONU, e non certo dall’associazione per la tutela delle lasagne) che il “popolo eletto” sta perpetrando nei confronti della popolazione palestinese da ormai quasi 80 anni a questa parte.

Ranucci nei giorni scorsi ha visto la propria auto e quella della figlia, distrutte da un ordigno: un avvertimento in puro stile mafioso, evidentemente commesso da qualcuno che ne teme le inchieste e che intende zittirlo con metodi che richiamano alla mente una stagione che purtroppo non ci siamo mai lasciati alle spalle.

Ma da un paese in cui la libertà di stampa è sempre più un optional e, che del resto, nella speciale classifica stilata da Reporters sans frontieres e’ al 49mo posto dietro - pensate un po’ - Namibia e Capo Verde (https://rsf.org/fr/classement) cosa volevamo mai aspettarci?

La libertà di espressione è messa a serio repentaglio, così come ha recentemente dichiarato il fondatore di Telegram Pavel Durov, pochissimi giorni fa in occasione del suo 41mo compleanno (https://www.wired.it/article/pavel-durov-lancia-appello-telegram-fine-internet-libero/).

In un lungo e drammatico post su X, infatti, Durov ha dichiarato che “l’internet libera sta diventando uno strumento di controllo. La nostra generazione sta perdendo la battaglia per la libertà digitale. Quella che ad un tempo era la promessa dello scambio libero di informazioni, si sta trasformando nel più potente strumento di controllo, mai creato”.

 Già questo basterebbe e avanzerebbe, per avere chiaro il quadro della situazione ma Durov non si ferma qui. Infatti, mette sotto accusa, in particolare Germania, Regno Unito, insieme all’Unione Europea

Paesi un tempo liberi - ha attaccato - stanno introducendo misure distopiche come le identità digitali, mentre in tutta l’Unione Europea c’è la sorveglianza di massa dei messaggi privati. In Germania, chi osa criticare i funzionari pubblici su Internet viene perseguitato, mentre nel Regno Unito migliaia di persone vengono incarcerate per i loro tweet. Infine, in Francia i leader tecnologici che difendono libertà e privacy, sono sotto inchiesta penale. Un mondo oscuro e distopico si sta avvicinando rapidamente, mentre noi dormiamo. La nostra generazione rischia di passare alla storia come l’ultima ad averla goduta e ad essersela lasciata togliere. Ci hanno propinato una grossa bugia, facendoci credere che la più grande battaglia della nostra generazione, sia stata quella di distruggere tutto quello che ci hanno lasciato in eredità - tradendola - i nostri antenati: tradizione, privacy, sovranità, libero mercato e libertà di parola. Facendo ciò, ci stiamo avviando verso l’autodistruzione morale, intellettuale, economica e - in ultima analisi - biologica. Oggi non festeggerò. Il tempo a mia e a nostra disposizione - ha quindi concluso - sta per scadere.

Non si respira un bel clima, insomma, a dispetto di quello che vogliono continuare a farci credere. Ma questo già lo avevamo intuito in tempi non sospetti, e le dichiarazioni di Durov non fanno altro che avvalorare le nostre tesi. Non è facile fare informazione ed essere liberi di esprimersi, in una realtà - quale anche quella itagliana - in cui c’è un regime partitocratico che da diversi anni a questa parte si è preoccupato più di ridurre le nostre libertà e di controllarci, che non di fare i nostri interessi come in realtà sarebbe chiamato a dover fare.

Non è una questione che si può - sic et sempliciter - ridurre alla stucchevole contrapposizione fra destra e sinistra, che è solo uno specchietto per le allodole. Utile solo a dividere, e a distogliere l’attenzione da un problema ben più grosso. Qua è in ballo non solo e non tanto la libertà di stampa e di espressione, che eppure è fondamentale che vengano tutelate in un paese che voglia realmente dichiararsi “democratico”. Ma un concetto di libertà assai più ampio, e che comprende anche e soprattutto quelle strettamente personali.



Le limitazioni agli spostamenti e alla libertà di cura, avvenute durante il famigerato periodo della psicopandemia del COVID, sono state solo la cartina di tornasole più evidenti di una società di stampo sempre più distopico e dispotico.

Chi ha avuto modo di leggere il capolavoro di George Orwell “1984”, non può non aver colto le inquietanti analogie fra quella che è solo un’opera del pensiero, e la realtà che si è palesata dal 2020 in avanti. Un esperimento sociale, con il quale ci hanno costretto a vivere in cattività per tre mesi, sventolando il pericolo di essere contagiati da quella che altro non era (e tuttora è, a dispetto delle campane allarmistiche che di tanto in tanto qualcuno ha interesse a far suonare) una forma di influenza. Una forma di influenza curata, inizialmente, male e che ha mietuto tanti morti. A ciò va aggiunto lo scandaloso atteggiamento tenuto dalle autorità durante il lockdown, volto a impedire ai parenti delle vittime di porgere loro l’ultimo saluto, e soprattutto l’affaire costituito dagli intrugli spacciati per vaccini che hanno arricchito le cause farmaceutiche e di cui non conosciamo ancora gli effetti collaterali a media/lunga scadenza. Coronato anche con minacce e discriminazioni perpetrate nei confronti di chi ha osato non cedere, a quelli che erano ricatti vergognosi e privi di reale fondamento scientifico.

Le nostre libertà personali (di spostamento e di cura) sono state letteralmente calpestate, in barba e in disprezzo di quanto eppure, stabilito da qualsiasi carta costituzionale e convenzione per i diritti umani.

Oggi, è la libertà di espressione - inglobando quella di informazione - ad essere sotto attacco. Chi prova a fornire un’informazione non conforme al pensiero unico, rischia grosso. Prima, si viene attaccati, derisi e insultati in maniera gratuita e vigliacca a mezzo social, televisioni, giornali, ecc. Poi, si viene isolati in modo da provare a far cadere nel dimenticatoio la verità scomoda. E, infine, si viene minacciati e attaccati, con veri e propri attentati alla persona.


Ieri è toccato - restando nell’ambito nazionale - a Giancarlo Siani, Giuseppe Fava, Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Giuseppe Impastato, Walter Tobagi e tanti altri, il cui elenco è abbastanza lungo. Per non parlare di quelli che hanno sacrificato la propria vita, nel resto del mondo. Basti pensare ai 250 giornalisti che sono stati trucidati da Israele solo perché stavano documentando il genocidio che sta compiendo il regime nazisionista di Netanyahu, contro il popolo palestinese. Un elenco lunghissimo, che evidenzia ancor di più come ai giorni nostri, fare un’informazione che non guardia in faccia niente e nessuno, sia diventato un qualcosa di molto rischioso.

Nomi che sicuramente verranno cancellati dalla memoria collettiva, ma che è sempre bene - di tanto in tanto - ricordare per fare in modo che il loro sacrificio alla ricerca della verità e della giustizia, non sia stato vano. Una lista destinata ad allungarsi in futuro, perché i tempi che stiamo vivendo non inducono affatto all’ottimismo e celano, in realtà, un lato oscuro che qualcuno vuole non venga mai portato alla luce del sole. Chi tocca i fili di questo regime, muore. E non certo da oggi.

Francesco Montanino

 

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